Cristiano Carotti

waterloove
a cura di Francesco Santaniello
20 febbraio_20 marzo 2013

In questo nostro problematico presente l’intensità della vita di molti individui sembra determinata e condizionata soprattutto dalla velocità delle connessioni internet. L’arte può – anzi deve – farci riscoprire la forza dei sentimenti, il valore delle idee e della condivisione. Waterloove pertanto è stata pensata da Cristiano Carotti come metafora della battaglia che ogni uomo, in quanto essere pensante e senziente, deve combatte affinché la sua vita non sia uno spettacolo da ammirare, ma una fattiva esperienza, compresa tra gli estremi della ragione e dell’istinto, durante la quale sia possibile modulare l’intera gamma dei sentimenti e declinare i paradigmi delle idee che gli esseri umani sono in grado di generare.
Waterloove è un attacco al romanticismo più melenso, al falso e vacuo sentimentalismo (in quest’ottica si deve interpretare la gondolaarmata di I love the smell of napal in the morning) e all’effimera apparenza di quelle realtà spesso senza significato ma alla perenne ricerca di un significante.
Waterloove è una battaglia che possono vincere soltanto gli impavidi che si lasciano sopraffare dal turbine delle passioni: coloro che non temono i moti dell’animo e che hanno l’ardire di emozionarsi; coloro che scelgono di essere generali di se stessi.
Waterloove è, allo stesso tempo, un inno alla libertà e al coraggio di chi è disposto a lottare per seguire un ideale, qualunque esso sia, giusto o sbagliato, (ma alla fin fine chi può deciderlo?) come fanno i No Global, gli Indignados e gli ultras degli stadi (paradigmatici, a volte deprecabili, fenomeni atti a denunciare il malessere insito nella nostra società) o come fa nella finzione letteraria in Moby Dick di Herman Melville il capitano Achab, ossessionato dalla caccia alla balena bianca a tal punto che “se il suo petto fosse stato un cannone, gli avrebbe sparato il cuore” (Bianca è la notte).
L’immaginario di Cristiano Carotti, spesso, è popolato da strani e fantasmagorici personaggi: creature dalle forme ibride e dal fascino perturbante, catapultate in atmosfere ipertrofiche. Attraverso un pennelleggiare selvaggio, un fare aggressivo, graffiante come un urlo gutturale, Carotti cerca di tradurre nei suoi lavori “il caos che avvolge le cose” (Boccioni scrisse che “L’artista è il traduttore del caos che avvolge le cose”). Nelle opere della serie Waterloove Carotti visualizza paure e speranze, feticci e idoli, sogni e incubi, ma soprattutto quell’atavico, ineluttabile desiderio di ricerca esistenziale insito nell’animo degli esseri umani. Anche a ciò alludono i galeoni incatramati, memori di quelle “imbarcazioni che passano nella notte e non si salutano e non si conoscono” (Fernando Pessoa).
Con l’immediatezza, la forza espressiva e l’estetica violenza tipica dei graffitisti, Carotti propone una pittura onnivora in grado di fagocitare memorie auliche, stilemi tratti dalle più disparate culture, inserti oggettuali e ingombranti simboli del linguaggio pubblicitario.
Così facendo dà vita ad un surreale, visionario, onirico delirio metropolitano, per il quale ha scelto un sottofondo acid-rock, senza tralasciare qualche deriva punk, e toni noir, virati e mixati con estrema libertà inventiva e compositiva. Simile nomadismo culturale, mutuato dall’era postmoderna, da sempre sottende la ricerca di Carotti, che vuole esprimere la frammentaria, contraddittoria realtà attuale e l’instabilità dell’Essere contemporaneo: quell’Homo consumens immerso nei vortici di una società liquida – secondo le teorie
di Zygmunt Bauman. La pittura di Carotti, però, ci rammenta anche la forza salvifica dei sogni e della fantasia. Salvifica perché, oggi più che mai, per comprendere noi stessi e il mondo contingente non bastano le scienze esatte o la logica materialistica, ma abbiamo bisogno di attingere alle risorse creative dell’inconscio per avere intuizioni capaci di dare risposte a qualcuno di quei dubbi o problemi che ci appaiono irrisolvibili. Di fronte a questi lavori di Carotti non si può restare indifferenti, allo stesso modo nella battaglia di Waterloove non si può restare neutrali: si deve scendere in campo e prendere posizione, combattere con le armi del cuore e della ragione “poiché le occasioni della vita sono infinite e le loro armonie si schiudono ogni tanto a dar sollievo a questo nostro pauroso vagare per sentieri che non conosciamo” (Pier Vittorio Tondelli).

Francesco Santaniello

Galleria

Galleria Opere

Rassegna stampa

In esposizione, un corpus di 12 opere per lo più di nuova produzione realizzate per la mostra: 3 arazzi e 6 teche (tecnica mista e led), 2 tele e 1 scultura nelle quali affronta quel che per George Rouault è il “vero flagello” della vita: la paura di amare. Di qui la scelta del titolo, “Waterloove”, che in un gioco di parole e di lettere richiama e intreccia il tema dell’amore con la grande disfatta napoleonica. E che significa, come scrive il curatore Francesco Santaniello nella presentazione della rassegna, davvero tante cose: una metafora della battaglia che ogni uomo, in quanto essere pensante e senziente, deve combatte affinché la sua vita non sia uno spettacolo da ammirare, ma una fattiva esperienza, compresa tra gli estremi della ragione e dell’istinto; un attacco al romanticismo più melenso, al falso e vacuo sentimentalismo e all’effimera apparenza cui fa riferimento l’immagine simbolo della mostra (la gondola armata di I love the smell of napal in the morning); un inno alla liberta e al coraggio di chi è disposto a lottare per seguire un ideale, qualunque esso sia, giusto o sbagliato come fanno i No Global, gli Indignados e gli ultras degli stadi.