Giovanni Frangi

falsa primavera
7 marzo_22 giugno 2018

In esposizione, un corpus di opere della sua più recente produzione – composto da 11 tele olio su tela di grande formato e 5 carte pastello a olio e pigmento dal ciclo dedicato ai boschi e alle ninfee – accompagnato da un testo di Marta Cereda.

Da tempo affascinato dal mondo naturale, motivo sul quale insiste e rinnova la propria ispirazione, Frangi guarda a rami, foglie e arbusti, ninfee e altri elementi tropicali che proiettano e immergono lo spettatore nella natura non per un desiderio di atmosfere agresti quanto un modo per indagare quella difficile relazione che esiste tra natura e città; stemperandone il conflitto sino a ipotizzare una riconciliazione attraverso una nuova ottica che prevede il superamento del conflitto stesso. Nella visione di Giovanni Frangi, i due ambienti non sono più antagonisti ma, in assenza di confini, l’uno diventa sviluppo, prosecuzione e proiezione dell’altro.


Era sempre la gente a limitare la felicità*
Marta Cereda

Sassi e cascate, fondali marini, isole, boschi, stagni, fiumi e cieli. Un esploratore o un documentarista?
Giovanni Frangi non è né l’uno né l’altro. Reinventa la natura che scopre, che vede e che vive. Restituisce il proprio punto di vista, con una visione personale e parziale, come dimostrano i tagli delle sue opere. Nella composizione si avverte, infatti, chiaramente l’eco di un’inquadratura fotografica, che è realmente l’avvio di ogni suo lavoro. Il piccolo formato delle foto sedimenta magari a lungo nell’archivio del suo studio, poi torna quasi in dimensioni reali, ma con l’intermezzo di nuovi tempi e nuovi spazi.
Nelle foreste Frangi si addentra da una ventina d’anni, l’immersione tra stagni pieni di fiori carnosi che impediscono di vedere l’acqua è invece recente. Memoria di una visita all’orto botanico dell’Università di Padova e dell’Orangerie con Monet a Parigi, acquario in mezzo a un parco.
In queste Ninfee il colore ricompone sulla tela forme, volumi e ricordi, in un equilibrio di pieni e di vuoti che viene amplificato quando l’artista ricorre a stoffe già tinte come fondale, su cui agisce in negativo, con il bianco che definisce sagome riempite con sapiente approssimazione dal colore a olio.
Sulla tela si affastellano piani di profondità che conducono nel cuore di ciò che si sta vedendo: intorno c’è solo acqua, nel caso delle Ninfee, oppure alberi, tra i boschi di Masua.
Pochi tronchi in ogni tela, ma non c’è dubbio alcuno: ci si trova all’interno di un vasto bosco, quello fotografato dall’artista in Sardegna e da cui prende il nome la serie, oppure un altro nella nostra memoria, magari composto solo di betulle e di pioppi dal tronco bianco.
La ripetizione/ripartizione in quattro tele dall’andamento verticale e di identico formato innesca un déjà-vu, che spinge a cercare un segno distintivo, una traccia nei rami ritorti e nel muschio sulla corteccia. Intanto il tempo scorre: la tela vira cromaticamente, il giorno e la notte si succedono, ma i fusti alti rimangono punti di riferimento immutabili nella ricerca di un senso d’orientamento.

• Ernest Hemingway, Festa mobile, Milano, 2010, p. 34.

 

Biografia

Giovanni Frangi (Milano 1959), inizia a dipingere prestissimo, si diploma all’Accademia di Brera; dopo varie collettive il 1983 è l’anno della sua prima personale a Torino, alla galleria La Bussola. A Milano esordisce nel 1986 con una personale alla galleria Bergamini da cui muove un’intensa carriere espositiva che nel 1989, con la mostra a Berna gli apre contesti internazionali dai quali non si è mai più discostato.

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