Maria Ràcana Terracciano

l’aria delle donne
a cura di Mimma Sardella
12 giugno_30 giugno 2012

Lo sguardo infinito delle donne

La voce del poeta canta l’immagine: tre donne, similmente atteggiate, anzi tratteggiate appena eppure saldamente impostate, guardano verso l’orizzonte. Sostano al di sopra di un limite immaginato, silenziose creature che suggellano il mistero della vita, raccolte a … mirare. I colori sfumano di azzurri sospesi nell’infinito esistere del tempo che si fonde con lo spazio immenso dell’Universo, né esiste lo scandire delle ore del giorno: qui è dipinto il tempo dello spazio.

Donne antiche? Sempiterne, si direbbe. Una proroga infinita del fluire temporale che tanto mortifica e accelera il nostro quotidiano, trattiene lo scorrere degli attimi, delle ore,, dei tempi del giorno e dell’anno, nella dimensione borgesiana che diventa il respiro evidente dell’iconografia dell’artista, di ogni dettaglio che Maria ferma sulle sue raffinate tele.

Donne quiete? Ma no, assolutamente. Queste donne sono figure sicure ed esperte, conoscono i segreti che muovono la vita al di là dell’immediato fluire del tempo, che non le riguarda; più in là, in lontananza ma molto molto lontano, volgono lo sguardo. Quando Stanley Kubrick, nel 1968, scelse le note forti di Richard Strauss ( Also sprach Zarathustra) per aprirci all’emozionante visione di “2001 Odissea nello spazio”, deludendo il suo compositore, ottenne un gran risultato, forzando con la musica l’orizzonte delle immagini filmiche. Per le immagini che Maria Ràcana Terracciano ferma sulla tela, la lontananza è tale che la musica, se c’è, non si sente. Nell’infinito spazio-tempo il suono si perde, non esiste, non può fisicamente essere ascoltato; cantano di propria vita le emozioni dell’ Aleph, come nella tela così denominata, dove la donna, assorta e appena tratteggiata a punta di mina e incolore, sente fluire oltre il sé il tempo della Storia, che lei stessa decide di nominare Imperi. Nella tela (in volo), azzurra anch’essa, esposta al piano terra a sinistra del modernissimo ascensore vagano nello spazio pezzi di mondo racchiusi in bolle di aria trasparente: così un castello, un paesino di montagna e una nave a vele spiegate vagano senza pondus nello spazio, visibili allo sguardo del passante oltre il vetro trasparente che chiude l’accesso da via Filangieri alla Galleria de Al Blu di Prussia. Risaita la scala e riguadagnata la stabilità del piano, al primo incedere lo sguardo viene attratto come da un soggetto in movimento che gira sulla parete di fondo; non è un esperimento cibernetico, è una ruota – o la corolla di un fiore di innumerevoli petali? – che figure di donnine allineate di fianco, erette e fiere, fanno girare al contrario, riferimento certo alla teoria einsteiniana della relatività dello spazio.

Al centro non c’è il bottone del fiore a tenere la corolla, è lo spazio vuoto a comparire nel tondo di un piccolo vortice come per riprendere e portare lontano, nella inesauribile danza del tempo, le sagome, visionariamente sempre più lontane nell’incanto infinito del volo senza meta della vita stessa.

A destra, subito, una tela impastata di colore giallo mostra una bella giovane donna che, seduta in poltrona e vestita con abiti di primo Novecento, pare rassicurarci e augurarci buon viaggio. La tela, dipinta poco più di cinquant’anni or sono, fa parte del gioco, anch’essa in qualche modo concepita senza tempo, ferma la protagonista come a guardare i movimenti continui di chi va e di chi viene, nell’alternarsi composto e talvolta no dei convenuti (donna che guarda le donne). Altro è il viaggiare su percorsi segnati come itinerari dovuti, su e giù, in lungo e largo alla ricerca di nuove mete dove fermarsi a vivere, emigranti perpetui in un mondo che pare incapace di accogliere i suoi abitanti e renderli stanziali. Questo racconta la tela azzurra (in giro per il mondo) che segna a bianche linee personaggi di varia età e sesso, pronti a percorrere gli itinerari tratteggiati sulla tonda superficie. Capace di astrazione pur senza stravolgere le forme per significarne altre, l’artista mostra in ogni opera la sua esperita scelta linguistica, nel colore steso fino a imprimersi nella tela senza rilievi nè sbavature, dove mai appaiono visibili i segni del pannello nella pasta ispessita di una qualche colatura. Al di dentro, trattenuta dai bordi semplicemente rimboccati sul telaio rigido e perfettamente simmetrico nei suoi angoli retti, esiste solo il colore dell’aria, intrisa dalla luce che un invisibile sole emana all’alba del giorno e al suo crepuscolo, senza proiettare ombre, chè l’aria non sa descriverle. In successiono appaiono, collocate sulla parete più ampia, due tele di più grande formato, campite di un rosso sfumato tra il colore di due frutti: della prugna e della fragola. Dentro un infinito tramonto trattenuto dall’alba naviga, rinchiusa in un mondo fattosi stretto come una bolla, la nave di tutte le bandiere (navigare dentro).

Perduta ormai è la rotta che forse sanno le donne (donne che guardano la terra dallo spazio); dipinte di spalle e a figura eretta, guardano verso un globo azzurro, che non è sole e neppure terra, ma forse un nuovo mondo, raggiungibile? Chi lo sa… forse Maria.

Mimma Sardella

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