Fabio Donato

opere 2007 – 2009
a cura di Maria Savarese
20 gennaio_20 febbraio 2010

Quattro recenti sequenze fotografiche, ovvero un racconto di immagini che continua e che segue quello dei circa sessanta scatti esposti poco più di due anni fa al Museo di Capodimonte, selezionati nel suo quarantennale lavoro sin dai primi anni settanta.

Nelle fotografie in mostra c’è tutto il mondo mentale dell’ artista: cambiano o si arricchiscono solo gli elementi oggettuali che impaginano compositivamente la scena delle sue immagini, ma il suo linguaggio, il suo modo di guardare e di fotografare è lo stesso.

Sono fotografie che sollecitano curiosità, raccontano uno stimolo visivo e percettivo, invitano alla riflessione, fanno nascere dubbi; sono stimoli mentali da parte di chi scatta ed in chi li riceve, poiché Fabio Donato fotografa concetti. Il suo lavoro è una ricerca in equilibrio tra il dentro e il fuori, il prima e il poi, la vita e la morte, che si snoda lungo il fil rouge del suo discorso artistico: il tempo.

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Rassegna Stampa

Sorriso di un mondo

Sorriso di un mondo/alla luna che sorge/ l’anima di un gatto/ si illumina di cielo/ l’io delle cose/ comincia a vivere/ mentre gli uomini/ si nascondono.

Fabio Donato, 1964

Opere 2007-2009: quattro recenti sequenze fotografiche di Fabio Donato, ovvero un racconto, il suo racconto, che continua, circolare e che segue quello dei circa sessanta scatti esposti poco più di due anni fa al museo di Capodimonte, selezionati nel suo quarantennale lavoro sin dai primi anni settanta.

In queste quattro sequenze e nell’unica foto singola esposta c’è tutto il mondo mentale di Fabio: cambiano o si arricchiscono solo gli elementi oggettuali che impaginano compositivamente la scena, ma il suo linguaggio, il suo modo di guardare e di fotografare è lo stesso.

Sono fotografie che sollecitano curiosità, raccontano uno stimolo visivo e percettivo, invitano alla riflessione, fanno nascere dubbi; sono stimoli mentali da parte di chi scatta ed in chi li riceve, poichè Fabio Donato fotografa concetti.

E’ così in Interno Napoli 2009, un vero e proprio “trauma visivo” per chi ha scattato. Un’immagine “strana” – sedie di plastica in una chiesa antica apparse improvvisamente e per caso al suo sguardo – su cui lui torna e ritorna, col pensiero e con gli occhi, fino agli scatti, per poi cominciare a giocare con le sequenze e con il concetto di spazio e di linearità della sua percezione visiva, che è costante nelle prime tre immagini, ma completamente sconvolta nella quarta.

Del resto ” il lavoro di Fabio Donato è uno spazio esemplare per cogliere il momento in cui si allunga il passo. La sua è una ricerca di soglia sulla soglia: fra il dentro e il fuori, il prima e poi, la vita e la morte. La porta, la finestra lo specchio, sono i transiti linguistici tra i quali affiora, il ciò che è stato, il lutto e la sua elaborazione. Gli oggetti (una lampada, una sedia, una porta, un balcone, un frammento di paesaggio, uno specchio) non valgono per se, ma per il posto che occupano nello spazio, per le trame che riescono a interessare.” (Angelo Trimarco)

Ma c’è anche il tempo che passa – fil rouge del suo discorso artistico – su quelle sedie che si spostano, che si muovono; così come in quei quattro dettagli materici di legno usurato che si ricompongono in un unico insieme, nella sequenza di Licola 2008; o nella quinta foto che chiude la serie ùdi Madrid 2007, dove c’è “tutto”: da Fabio fotoreporter dell’arte in Andy Warhol, ùun teschio, fino ad una bimba di circa tre anni che guarda l’immagine con curiosa sorpresa.

Così come nel singolo scatto di Interno 2009, un’immagine rarefatta, senza spazio e senza tempo, in cui appare il teatro, o meglio la sua interpretazione di tanto teatro del passato; e ancora la soglia, l’altro da sé; e il rosso, lo stesso rosso intenso cromaticamente e ideologicamente delle sequenze di Tunisi del 1987, non a caso scelte insieme a questo scatto esposto in mostra per una prossima partecipazione dell’artista sul 68.

E il tempo che scorre c’è in quel telo di plastica usurato, rotto, esposto alla pioggia, così come al sole soffocante, che entra ed esce al soffiare del vento dalla finestra nella serie di Interno-esterno 2009 e che sembra quasi animarsi, giocare, prenderci in giro come una linguaccia. E’ proprio quell’io delle cose, di cui Fabio scriveva molto giovane nel 64, che comincia a vivere mentre gli uomini si nascondono.

Maria Savarese

Geometrie dell’indifferenza

Assenza di simbologie, di jeux de mots; silenzi muti mai rotti da rumori di fondo; sguardi fissi su oggetti votati all’immobilità; spazi dimensionati soltanto da un taglio di luce; idea di tempo che non rimanda a un prima e non prevede un dopo; istanti congelati e colti dopo una lunga e orgasmatica attesa; solitudini di frammenti privi di sensi immediati, che alle volte scorrono veloci attraverso i vetri di un treno in corsa, altre ancora si innalzano davanti agli occhi come barriere, oltre le quali ci può essere solo vuoto e assenza. Il punto di vista di Fabio Donato è tutto questo e non vuole essere altro. Con un rigore estremo, più vicino alla mistica zen che alla cinica estetica della visione occidentale, le sue immagini hanno strutturato nel tempo un coerente manuale di geometrie dell’indifferenza: un metodo e un canone per dar forma a un’idea di misura di un mondo fatto di frammenti isolati, di spazi immobili non dimensionabili in una scala sentimentale.

Le fotografie di Fabio Donato sono il portato di una scelta precisa e consapevole, che – senza nulla concedere all’inganno dell’occhio e alle furberie dei tempi – ha trovato la sua essenza in immagini “già fatte”. Immagini cioè che preesistono all’artificio e dove il lavoro del fotografo si riduce soltanto a una continua e implacabile eliminazione di senso.

“Anche quando si dipinge un quadro ordinario si fa sempre una scelta”, spiegava Marcel Duchamp a Philippe Collin nel 1967. “Si scelgono i colori, si sceglie la tela, si sceglie il soggetto, si sceglie tutto. Non si tratta di arte; si tratta essenzialmente di una scelta. Qui è esattamente la stessa cosa. Si tratta di una scelta di oggetti . Anziché farli, li si sceglie già fatti. Questa scelta, ovviamente, dipende dalle ragioni per cui scegliamo. E’ una questione abbastanza complicata da spiegare: anziché scegliere qualcosa che ci piace o che non ci piace, si sceglie qualcosa che dal punto visivo non ha alcun interesse per l’artista. In altre parole, si raggiunge una condizione di indifferenza per quell’oggetto. In quel momento l’oggetto diventa un readymade. Se è qualcosa che piace, è un pò come i rami trovati sulla spiaggia: è estetico, è carino, è bello, da mettere in salotto.

Questa è l’intenzione del readymade.”

Fabio Donato in oltre quarant’anni di saggia indifferenza si è sempre guardato bene dal realizzare immagini estetiche e carine.

Da mettere in salotto.

 

Michele Bonuomo