Manigrasso

acqua
a cura di Diana Gianquitto
27 marzo_24 aprile 2015

Giusto Amare. Interlocutoria, sfida l’ansia da prestazione affettiva, l’iscrizione sul cassetto solcato di ombre, profonde e ripetute come onde. In cui perdersi, se più ti ostini a dibatterti col nuoto dell’intelletto, come ti smarrisci nel tiretto in cui hai riposto l’oggetto prezioso nel famigerato “posto sicuro” che poi non ricordi più. E chi potrà mai dirlo, con le forze della ragione, qual è il giusto modo di amare? Dove, la leonardesca quadratura del cerchio tra Uomo e Donna? Solo, ci si può affidare alla liberazione di percepire l’amore fluire da te. E allora, miracolosamente, se ti abbandoni, la stessa acqua in cui più ti dimenavi e più affondavi improvvisamente sostiene. E ciò che smetti di cercare nei cassetti dell’anima e della cucina, inaspettatamente si fa ritrovare. Eterna, l’epopea del perenne incontro del Maschile e del Femminile si snoda nobile, eppur concreta, nelle opere di Giuseppe Manigrasso. Mito, archetipo, inconscio, onirico e domestico. Sa bene, Manigrasso, che nessun registro è più vero – né alto né basso, ma semplicemente vero – di quello che ha il coraggio di rischiare la ricerca della mitologia nel e del quotidiano. Un vissuto reale, ma di cui si cerca di rintracciare il profondo senso archetipico. Ed ecco, coerente, il rispecchiamento nella formalizzazione: mollette, sacchetti, oggetti e materiali quotidiani che più non si può si arrischiano – e riescono – nell’Olimpo dei simboli. Scalano la vetta universalizzante che li affranca dal banale e innalza nell’archetipo. Da lì in alto si vede meglio, e tutti possono riconoscersi. Come si nobilitano, nell’onirico ancestrale, la macchina da cucire e l’ombrello sul tavolo operatorio di Lautréamont. Parallelamente, se il quotidiano assurge, il Surreale discende. Diviene più familiare, amico, praticabile, surreale con la minuscola. “Assurdo”, proprio come troppe volte hai rimproverato al partner quel suo comportamento. Come incomprensibile sembrerà lo Yin allo Yang, e viceversa. Eppure, è energia allo stato puro, nella visione artistica e umana di Manigrasso, quella differenza di potenziale, quel cortocircuito da contatto tra due entità diverse. E, come nella più profonda cognizione del Taoismo, la scintilla non è né nel dualismo né nella somma di quei due colori, ma nella loro linea di contatto. In quel limen, da oltrepassare per e nell’affetto amoroso, come un imene. Ovvio che dallo sconfinamento di intimità che si mischia a intimità derivino mischie. Eppure, lo sguardo dell’artista non è mai grottesco. Sdrammatizzante ma mai spoetizzante, ironico curiosa in scivolate che non son mai bassezze, in difficoltà e inciampi che come per Minor White divengono gradini per raggiungere la meta. È l’arte di una prospettiva esistenziale che ha molto vissuto, che anzi, di più, ha molto con-vissuto, forgiando il proprio riconoscimento di Essere anche sulla barriera/opportunità dell’inevitabile confronto con l’Altro, nello specifico della coppia, oltre e più che nella generalità degli altri incontri relazionali. Per scoprire, costringendo “alla commozione il peggio di te”, che solo così puoi trasformarti “in te stesso”. Che qualunque (im)perfetto, ma sentito, bene ti sorprendi a rimirarlo bello, come la foglia più irregolare, ma vitale e unica. Che quell’acqua, che sia prosaicamente nella sporta della spesa che porti a tua moglie o archetipicamente nel suo grembo a nutrire vostro figlio, è nobile comunque. Basta abbandonarsi a quella forza imbattibile che ha prodotto l’una e l’altra. Come all’acqua di quel famoso mare in cui galleggi solo se non opponi. E, portando la tua ragione a fare il morto tra i suoi flutti, con sollievo scopri: non c’è un modo giusto di amare; semplicemente, come lo fai lo fai, è Giusto Amare.

Diana Gianquitto

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