Vittorio Pescatori

fotobazar
15 marzo_19 aprile 2014

PESCATORI L’ACCHIAPPASTORIE

Pescatori ha lo sguardo lungo. Vede una scena, se ne innamora, la fa sua. Gli basta un clic. Tutto il suo lavoro di artista consisterà poi nel farla rivivere, offrendole le più svariate e affascinanti possibilità di rinascita, magari grazie ad una sapiente colorazione “a posteriori”. In questo modo, il bianco e il nero dell’originale saranno infatti capaci di rivelare potenzialità che il soggetto di partenza non pareva possedere o, meglio, non sapeva di possedere. E, ovviamente, diverse colorazioni, diverse intensità e diversi accostamenti delle tinte potranno continuamente dare altre vite a quella stessa immagine, le eviteranno di costringersi in un unico e definitivo abito concettuale, e la dislocheranno lungo un mobile e curioso percorso di ridefinizione e riduzione a pièce unique di ciò che era nato come risultato della riproducibilità seriale e indifferenziata.

Ma così non si sarà coperta che una delle molte possibilità.

Il passo successivo – quello che contraddistingue per esempio questo lavoro su La Bella Addormentata – consiste nel non prendere più in considerazione le immagini a una a una, né in quanto componenti di una più ampia serie dotata di una sua interna coerenza a partire dai luoghi, dall’ambientazione, dall’ambito temporale o da altre simili variabili. Le immagini, a questo punto del percorso, sono infatti diventate archivio, nel senso di deposito vivo, multiforme e sorprendente delle tue stesse emozioni, esperienze, memorie. E a questo punto le immagini incominciano a parlarsi, a mettersi in una più stretta e impreveduta relazione. Possono mettersi in competizione, possono litigare o fare comunella e insomma decidere di mettersi a raccontare molte altre storie. Non soltanto tu puoi graduarne il significato modificandone certi particolari, o provvedendo a un diverso taglio o impaginazione; tu puoi assemblarle, metterle in sequenza, insomma farle diventare, per l’appunto, un impreveduto – meglio: imprevedibile – racconto.

La scommessa è quella d’inventarsi una possibilità narrativa implicita ma inesplorata. Una specie di anti-reportage dove l’”oggettività” dell’immagine fotografica, già messa in discussione da un intervento di ri-creazione del tipo di quelli che ho descritto all’inizio, si piega docilmente all’assoluta e sfrenata soggettività di una campionatura allegorica. Le immagini riproducono figure, persone, oggetti, paesaggi che, messi in sequenza secondo un ordine che prescinde totalmente dal loro carattere documentale, vedono sfrangiarsi e dilatarsi i propri contesti originari, e cooperano tutte insieme alla tessitura di una storia altra, tutta mentale, dove l’allusione è l’anticamera dell’allucinazione, e l’ironia il collante universale capace di tenere saldamente insieme ciò che era nato per seguire strade diverse e lontane.

E’ un gioco, questo di Pescatori, che richiama in primo piano la soggettività irriducibile dell’artista. Quasi l’orgogliosa rivendicazione di un principio di universalità, dunque di infinita e infinitamente flessibile fungibilità, del proprio lavoro. E’ come se Pescatori ci dicesse che no, le immagini no; ma lui sì, lui demiurgo sì che sapeva fin dall’inizio quale ulteriore densità si nascondesse dietro la loro lettera, dietro il significato immediato che ci comunicavano.

E’ stato così che Pescatori, acchiappando con l’occhio alcuni pezzi di mondo, è stato capace di ricostruire tutto il mondo e tutte le possibili storie che vi contengono.

di Francesco Durante

 

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Immagini, talismani e amuleti
Venti, venticinque anni fa (no, sono già passati quaranta) trascorsi una lunga estate a Capri dove incontrai molte persone che non conoscevo. Mi sembrava di andare in visita a un giardino zoologico composto di una fauna di un’altra era, non glaciale forse ma certamente di una temperie diversa a quella a cui ero acclimatato. Fra questi individui divenni amico di Paolo Isotta e di Vittorio Pescatori. Paolo (e suo zio) era di Napoli; Vittorio, di Parma, le uniche città spiritose d’Italia, intendendo lo spirito come esprit. Erano ambedue colti ed ironici e le lunghe passeggiate che facevamo verso il tramonto restano paradisiache nel ricordo: il luogo aveva ancora il sortilegio evocato dagli antichi viaggiatori ma anche da scrittori recenti come Elsa Morante.
Gli animali umani che incontravo erano singolari – alcuni ricordavano i dipinti del Douanier Rousseau, altri le figure geometriche degli artisti del fascismo. Edda Ciano sostava come una statua abbandonata verso la Piazzetta; Pupetto Sirignano saltellava ovunque nelle sue braghe rosse; il pappagallo di Dado Ruspoli era volato via col suo padrone e forse finì posandosi su una foto inventata da Pescatori.

Ma non mancavano nuovi eccentrici di cui ricordo ora solo i nomignoli che coniavamo per loro: l’Anfusona, la Giannona maior e un giovanotto belloccio e malinconico che attraeva le farfalle femmine come certe piante carnivore: lo chiamavamo la maschieuse. La maschieuse, per chiarezza editoriale, divenne La maschia in una novella di Vittorio che, qualche anno dopo, mi fece molto sorridere come fanno sorridere, a denti stretti, i ricordi ultimi della gioventù. Pescatori era spiritoso e ironico, come ho detto, senza diventare mai caustico o moralista, dono raro nel Mediterraneo dove si è portati verso la satira a fosche tinte. 
Col passare del tempo è riuscito a scoprire i dettagli più segreti di altri microcosmi noti a lui soltanto: volti casuali, machere tracciate dal vento e dalla pioggia, paesaggi inesistenti. Non so se qualcuno ricordi L’écriture des pierres, un libricino di un autore squisito ma un po’dimenticato, Roger Caillois, molto amato da me forse perché lui amava molto la letteratura delle mie terre. Prendo a caso una frase che mi pare convenga a quello che Vittorio Pescatori indovina: les pierres possèdent on ne sait quoi de grave, de fixe et d’extrême, d’impérissable ou de déja pèri. Elles séduisient par une beauté qui ne doit de compte à personne e infatti le sue invenzione non hanno conti in sospeso con nessuno. Come le pietre, conservano un che di infallibile, al di là del tempo, adolescenziali o decrepite. Quando penso a lui lo immagino a giocare con telescopi, cannocchiali, caleidoscopi, microscopi e specchi convessi e specchi concavi. I suoi occhi riflettono la realtà ma i paesaggi, le figure vive o morte, si mettono al suo servizio e si trasformano, un po’per celia e un po’per non morire, divenendo qualcosa che è simile al vero per diventare una verità poetica. Forse scoprirà altri oggetti persi lungo le spiagge deserte d’inverno o i corsi dei fiumi arsi d’estate e inizierà a comporre i talismani e gli amuleti indispensabili per il lungo viaggio.
Alvar Gonzalez-Palacios